Conciliazione Negoziata

PER UN PIANO DI SOSTENIBILITÀ DELLA MEDIAZIONE – CONCILIAZIONE NEGOZIATA: UN OBIETTIVO INDILAZIONABILE ED UN IMPEGNO URGENTE DELLE IMPRESE E DELLE ASSOCIAZIONI DEI CONSUMATORI.

L’iter per l’approvazione della nuova direttiva sulla mediazione anche se non concluso appare definitivo su un punto che costituisce anche un verdetto inequivocabile. La nuova direttiva riconosce esclusivamente gli organismi e le procedure di mediazione “che portano alla definizione di una controversia mediante l’intervento di un terzo. Il terzo può proporre o imporre una soluzione o semplicemente riunire le parti o assistere nell’individuazione della soluzione”.
Bisogna prendere atto che la CE era partita nella consultazione con questa posizione e sta arrivando con la imminente direttiva mantenendo la medesima. La Lega Consumatori questo lo aveva previsto e per questo con il suo contributo avanzava la proposta di “un terzo funzionale possibile“,  ma una rondine non fa primavera. Altri con ottimismo si attendevano dalla CE il riconoscimento del modello paritetico ed anch’io ci ho sperato, ma inutilmente. Si può argomentare dimostrando che agli effetti del riconoscimento del modello paritario la nuova direttiva sembra peggiorare la situazione ma stiamo al merito del tema: la mediazione negoziata.
La nuova Direttiva fa tornare indietro il consumerismo italiano, in ordine al riconoscimento comunitario al 10 marzo 2004 cioè al giorno in cui le associazioni dei consumatori e Telecom hanno firmato il nuovo Regolamento con l’azienda con il quale si sceglieva la procedura monofasica e si abbandonava la procedura bifasica, con il soggetto terzo che interveniva, l’arbitro, a valle della applicazione del modello paritetico, in via volontaria e in caso di mancata composizione pacifica della vertenza in sede di conciliazione paritaria. Giova ricordare che la procedura bifasica era riconosciuta dalla Commissione Europea che l’aveva sostenuta con una serie determinante di “progetti pilota” da essa finanziati di intesa con Sip- Telecom.
Però l’iter della nuova Direttiva  dimostra un altro aspetto decisivo per la nostra riflessione: la Commissione Europea non vuole comprendere, e quindi non riconosce come organismi ADR  “i meccanismi di trattamento dei reclami della clientela gestiti dalle imprese o le composizioni amichevoli negoziate direttamente tra le parti”.
Dopo il citato 10 marzo 2004 la mediazione negoziata tra associazioni e imprese ha avuto una ampia diffusione ma ha dimostrato il carattere di fatto, proprio di meccanismo di trattamento dei reclami della clientela gestiti da imprese o di composizioni amichevoli negoziate direttamente tra le parti. E’, infatti, dimostrabile ed io sono fra quelli che lo hanno fatto più volte, che per ottenere e parlare di conciliazione paritetica occorre fare il passaggio dalla procedura all’organismo paritetico, che gestisce la procedura, diversamente la procedura è  esposta al potere discrezionale dell’impresa. In altre parole la negoziazione – conciliazione negoziata paritaria può essere una innovazione di valore straordinario ma non è un obiettivo raggiunto, è una riva da raggiungere ma per farlo è necessario uscire dal guado in cui siamo. Per altro è una metà che chiede l’adempimento dei requisiti  di imparzialità e indipendenza come inequivocabilmente chiede la CE.

UTILITÀ, IMPLICAZIONI E SOSTENIBILITÀ DI UNA PROCEDURA NEGOZIATA CON LE IMPRESE DI COMPOSIZIONE AMICHEVOLE DEI RECLAMI NEGOZIATA DIRETTAMENTE TRA LE PARTI.

Questa procedura negoziata che non è ancora conciliazione oggettivamente paritetica è uno strumento valido che va interpretato . Esso interviene nel rapporto tra consumatori e imprese, un rapporto notoriamente impari per effetto delle asimmetrie ( asimmetria informativa, asimmetria contrattuale, asimmetria organizzativa). Per trattare da pari a pari con l’impresa il consumatore si affida, cioè delega l’associazione dei consumatori, instaurando con essa un rapporto fiduciario. Con modalità diverse lo stesso avviene sul versante del rapporto fra associazione e impresa: la procedura negoziata parte dal riconoscimento della associazione come stakeholder, portatore di interessi verso l’azienda. Essa negozia la procedura affidando, delegando l’associazione a fare da intermediario facilitatore per la composizione pacifica della controversia e per il recupero di un rapporto con il cliente.

LA PERCEZIONE DEL RUOLO DI SOGGETTO TERZO DELLE ASSOCIAZIONI E DEI LORO CONCILIATORI

Noi da anni teniamo inchiodata la riflessione sul soggetto terzo per adeguarci alle indicazioni comunitarie e per affermare il principio di indipendenza  e siamo finiti per non cogliere e  trascurare un altro “soggetto terzo”,  che non è quello “neutrale “distaccato “super partes ma il “terzo fiduciario “ di concreta, determinante utilità per entrambe le parti a confronto, che restano autonome nel decidere, e che vengono aiutate nel comporre pacificamente le controversie tra di loro.
Si tratta di una figura e  di un ruolo costruito sopra tutto in Italia nella collaborazione fra aziende e associazioni dei consumatori e di questo se non orgogliosi dobbiamo essere consapevoli, trattandosi di un valore economico e sociale costruito insieme dalle associazioni dei consumatori e dalle imprese disponibili.
In questo quadro che la CE ha lucidamente interpretato dando alle procedure negoziate la definizione prima riportata, le associazioni dei consumatori sono chiamate comunque  a fornire un servizio utile e insostituibile che comporta dei costi anche se in una logica no profit irrorata di spirito autentico di servizio. I costi sono di due tipi: le infrastrutture (sedi, e sportelli) i costi delle persone che si muovono.

IL NODO DELLA SOSTENIBILITÀ

Gli orientamenti Ce, reiterati parlano di procedure extragiudiziali rapide efficaci, gratuite o poco onerose, gli ultimi documenti di “procedura gratuita per i consumatori o con costo al di sotto dei 50 euro”.  In Italia le stesse imprese propongono che la procedura sia gratuita per i consumatori. Resta il problema delle associazioni che mettono a disposizione un servizio che nella esperienza ventennale solo in due occasioni ha avuto un riconoscimento anche economico: dalla CE inizialmente con i progetti pilota e dal Ministero dello Sviluppo Economico  con il progetto Unioncamere. Poi sempre e comunque volontariato.

COME USCIRE DAL BINARIO MORTO

Le associazioni dei consumatori con il CNCU hanno ripetutamente proposto anche in modo articolato l’attuazione dell’art. 141 del Codice del Consumo senza ottenere risposte.
Le aziende da parte loro si sono dichiarate indisponibili a destinare risorse versandole direttamente alle associazioni (fatta eccezione di banche in occasione di esperienze di conciliazione collettiva sui bond Parmalat ecc) per il rischio di interpretazione errata del loro gesto, però non si sono affatto attivate per affrontare il problema. Ora nel ribadire che a motivo della definizione data dalla CE sulle procedure attuali (non si tratta di organismi Adr riconosciuti, pertanto il principio di indipendenza non si pone come si porrebbe e si porrà una volta realizzata una gestione oggettivamente paritaria di una procedura adr negoziata tre associazioni e imprese) quindi  anche il versamento diretto alle associazioni, se motivato e trasparente, non dovrebbe  creare scandalo, trattandosi di un servizio concreto e misurabile effettuato dalle associazioni dei consumatori e dai loro conciliatori ritengo che sia necessario e urgente sottrarsi al binario morto in cui siamo caduti. Per fare questo la priorità da dare non è al tipo di soluzione ma agli interlocutori di coinvolgere.
Le imprese in primo luogo alle quali insieme alle procedure che ci propongono di concordare dobbiamo chiedere come sono concretamente disponibili a fare la loro parte per sostenerle. E si tratta di un tema non rimandabile.
Il ministero dello sviluppo economico cui ponendo con urgenza la questione nel CNCU costruttivamente ma fermamente dobbiamo chiedere che si pronunci e diventi disponibile.
Le autorità rispetto alle quali, tuttavia, le associazioni dei consumatori devono fare proposte concrete efficaci e largamente unitarie. Poi le soluzioni si trovano, è l’Europa a offrirci un ventaglio ampio di soluzioni: essenziale è che nessuno giochi a scaricabarile. Così sarebbe se il MISE sostenesse che spetta alle autorità,  le autorità che spetta al Mise o alle aziende le aziende che  spetta al Mise e alle autorità. Si può agevolmente costruire un sistema extragiudiziale (Fondo, Fondazione ecc) dove il costo delle infrastrutture è finanziato a livello istituzionale, i ricorsi dalle imprese, o comunque accanto alla dotazione derivante dalle multe antitrust si aggiungono quote delle imprese proporzionali alle dimensioni delle stesse. Per uscire da quello che ho definito binario morto chi ci crede fra i soggetti coinvolti, deve attivarsi in tutte le direzioni indicate. Ritengo fra queste il CNCU, iniziando con il coinvolgimento del GDL Conciliazione cui intendo trasmettere in tempo reale questo appunto.

SUPERARE L’ESPERIENZA DELLE PROCEDURE NEGOZIATE E GESTITE CON LE SINGOLE AZIENDE, VALORIZZANDO TALE ESPERIENZA PERÒ INSERENDOLA IN UNA PROCEDURA PARITETICA DI COMPARTO GESTITA DA UN COMITATO PARITETICO DI COMPARTO

L’Autorità per l’energia, da sempre attenta e disponibile verso le esperienze consumeriste, decide di riconoscere un contributo per le pratiche di conciliazione realizzate nel comparto. Si trova però di fronte ad un ostacolo imprevisto: mancano le conciliazioni. Motivo evidente le procedure negoziate da ciascuna azienda sono interpretate dalle aziende come strumenti utilizzabili con ampia potestà discrezionale. Se un reclamo è da considerarsi come tale a deciderlo è l’azienda. Non di rado l’associazione istruisce il reclamo e lo sottopone alla azienda, questa evita la fatica di rispondere alla associazione. Comunica la sua decisione direttamente all’utente e la pratica finisce qui. L’impressione è che l’interpretazione debba essere più sofisticata, quelle italiane che hanno sottoscritto procedure negoziate con le associazioni sono grandi aziende, hanno interessi di marketing e non solo, mirano ad accreditarsi con le best practices è questo non si addice con la disponibilità a trattare e registrare un numero consistente anche se motivato di conciliazioni. Da qui la spinta comprensibile e legittima di associazioni di consumatori a disdire gli accordi di procedura negoziati con le aziende. Condividendone le motivazioni ritengo tuttavia che un atto così decisivo, se possibile,  debba essere collegato ad una proposta di soluzione del problema. Ora su questo, in primo luogo, le associazioni dei consumatori devono confrontarsi, dialogare per costruire in tempi rapidi delle proposte.

Riprendo in questo spirito due piste:

  • Separare il reclamo dal procedimento di conciliazione. E’ tematica vecchia diventata in certo senso cronica. La soluzione su cui concretamente confrontarci è semplice: se a porre il problema è il consumatore risponde l’azienda ed è reclamo, se a porre il problema è l’associazione è conciliazione, il tutto ancorato a regole condivise tra azienda e associazioni. Questo problema va agganciato all’altro: il riconoscimento dei costi sostenuti dalla associazione e dai loro conciliatori, anche perché lo semplifica ulteriormente. In precedenza abbiamo citato le rilevazioni europee sul costo delle “pratiche di conciliazione” per i consumatori, gratuite o poco onerose nella proposta delle CE da 0 a comunque meno di 50 euro nei fatti dei paesi comunitari. A questo parametro di sobrietà, tenuto per altro conto che le associazioni dei consumatori sono soggetti no-profit. E’ bene si risponda con misure altrettanto motivate e sobrie di riconoscimento dei costi sostenuti dalle associazioni e dai loro conciliatori. Chiarisco che si tratta di un approccio non fondato su un buonismo, fuori ruolo, ma di concreta sostenibilità della proposta. Ritengo che un riferimento ai progetti pilota con la CE degli anni, 92-97 non sia fuori luogo: allora il compenso, per altro ritenuto equo da parte delle associazioni era in media di lire 40.000 per conciliazione,(cifra naturalmente da aggiornare in base a indici Istat), pagato dalla CE, Sip Telecom contribuivano per l’atro 50 per cento ma per altre spese del progetto (vedi ad esempio formazione). Un’altra soluzione potrebbe essere quella di €. 100 per seduta di conciliazione. Qui l’obiettivo da negoziare è quello di creare le condizioni con le quali  l’azienda sottoscrittrice del protocollo di mediazione negoziata, definisce il budget da mettere annualmente a bilancio.
  • Mantenere la gestione delle conciliazioni nell’ambito della singola azienda con l’attuale Commissione di Conciliazione. Si sono create condizioni di rapporto e di trattazione delle controversie influenzate da una preparazione e da una consuetudine comuni spesso umanamente ricche anche di empatia. Anche per questo l’impianto della composizione pacifica delle controversie condotte a livello aziendale può essere conservato.

Il salto di qualità va però compiuto passando:

  1. dalla procedura aziendale alla procedura di comparto: negoziando un protocollo e un regolamento adatto;
  2. creando nel passaggio un organismo di gestione della procedura muovendoci così nella direzione della affermazione della conciliazione oggettivamente paritaria che oggi non c’è, perché oggi come sostiene la CE c’è la gestione amichevole dei reclami ad egemonia aziendale. L’organismo non potrà che essere paritario: ad es. 6-8-10 componenti per metà di nomina aziendale, per metà di nomina delle associazioni dei consumatori. Esse potranno adottare il criterio della turnazione che ha già dato buona prova di sé in altri campi. Fin qui la resistenza più motivata nei confronti di questa innovazione era riferita al rischio di creare la pletora dei comitati paritetici, il che avrebbe prodotto dispersione dei quadri delle associazioni. Questo problema con la gestione della mediazione negoziata di comparto viene superato. Altre obiezioni non ne vedrei, invito invece a riflettere su un possibile effetto dell’accorpamento di comparto proposto: non vedo tra i compiti dell’organismo paritetico di comparto quello dl confronto tra le linee di pratica commerciale fra le diverse aziende ma è prevedibile, come effetto indotto, una sensibile diminuzione delle pratiche commerciali scorrette e questo a vantaggio dei consumatori, del mercato, della ripresa. I due comparti pronti sono due: l’energia e le telecomunicazioni.

Dotando la procedura (a quel punto) di comparto di un ORGANISMO PARITETICO DI GESTIONE DELLA STESSA LA NEGOZIAZIONE TRA ASSOCIAZIONI E AZIENDE LA STRUTTURA O STRUMENTO ADR NEGOZIATO CAMBIA VOLTO, comincia concretamente a perdere l’ipoteca della egemonia delle imprese per diventare gradualmente e progressivamente paritaria, quindi libera da egemonie.  

UN ORGANISMO EXTRAGIUDIZIALE SETTORIALE (DI COMPARTO) INDIPENDENTE E IMPARZIALE.

Torna qui il riferimento che ha rappresentato un nostro cavallo di battaglia mai smentito dalla CE: un organismo extragiudiziale settoriale come quello qui proposto è in grado di rivendicare per se il principio della indipendenza e imparzialità secondo la Raccomandazione 1998/257/Ce “quando la decisione è adottata collegialmente, la partecipazione paritaria dei rappresentanti dei consumatori e dei professionisti è uno strumento adeguato a garantire tale indipendenza”. Bisogna però essere consapevoli che comunque in base alla nuova direttiva che si preannuncia un tale organismo rimarrebbe fuori dal giro del riconoscimento istituzionale e al massimo annoverato tra le best practices. Infatti e da tempo molti di noi ritengono che la CE insisterà sul ruolo e la presenza del terzo super partes. Tuttavia forse non abbiamo ancora maturato una convinzione che può essere fondata il modello ADR paritetico è in grado di esprimere il meglio di sé se abbinato ad altro modello in cui il terzo c’è. In partenza in questo appunto ho indicato nel 10 marzo 2004 uno spartiacque decisivo: la firma del nuovo regolamento con Telecom e l’abbandono della procedura bifasica. Rinuncia al terzo nella figura dell’arbitro. Ora noi abbiamo interesse a recuperare il riferimento al terzo sostituendo l’arbitro con il mediatore, non uno che pronuncia il lodo ma uno che facilita la soluzione.

L’ORGANISMO EXTRAGIUDIZIALE DI COMPARTO E IL RICORSO ALLA AUTORITÀ PER LE CONTROVERSIE NON RISOLTE NELLA TRATTAZIONE PARITETICA.

Nel costruire la procedura e l’organismo di comparto siamo agevolmente in grado di inserire nella procedura il libero ricorso ad una fase successiva alla trattazione della controversia nella fase paritaria conclusasi negativamente, la seconda fase quella della mediazione così come prima del 2004 si poteva ricorrere all’arbitro. Questa esigenza può essere agevolmente accolta negoziando con le due Autorità dell’energia e delle telecomunicazioni un accordo o una convenzione.  Sulla fattibilità di questa innovazione ci sono idee ed esperienze presenti cui è facile attingere: puntare sul conciliatore del Corecom e dello Sportello AEEG chiamati ad intervenire come mediatori  o ad esempio comporre in modo negoziato una lista di mediatori operanti presso le autorità. Occorre per altro tenere conto  che   l’esperienza passata ci può insegnare  come il ricorso alla seconda fase probabilmente, sarà numericamente molto modesto e quindi non difficile da governare. Con le due innovazioni: costruzione di un organismo extragiudiziale di comparto e recupero della procedura bifasica,  la mediazione negoziata fra associazioni dei consumatori e imprese è in grado di superare la battuta d’arresto dei no della CE per rimettersi in circolo e ridiventare soggetto di riconoscimento istituzionale a livello comunitario e nazionale.

EVITARE IL RISCHIO DEL “SOLE DELL’AVVENIRE”

L’esperienza degli anni passati ci mette in guardia dall’imboccare la china pericolosa del chiudersi in noi stessi e di rassegnarci ai no degli interlocutori e ai loro “scarica barile”. C’è di messo una motivazione etica che se colta motiva una volontà paziente ma determinata e tenace: noi non siamo la crocerossa a puntello di un sistema di produzione e di distribuzione di beni e servizi arretrato , dobbiamo dimostrarci un consumerismo esigente che rappresenta al meglio il consumatore consapevole dei suoi diritti e doveri  ed è capace di farli valere.
In questa strategia la sostenibilità del sistema delle procedure di mediazione negoziata in materia di consumo è un problema importante e non più rimandabile. Una volta rilevato il ritardo e l’indisponibilità di fatto di interlocutori, necessariamente in campo, le associazioni dei consumatori italiani sono chiamate a costruire un sistema di deterrenza e di contromisure . Esso deve partire da una volontà unitaria che il consumerismo italiano è in grado di esprimere quando vuole. Ultimo esempio efficace la recente Conferenza CNCU Regioni di Milano poi c’è la linea che ciascun’associazione può adottare: gli altri interlocutori necessari: imprese, autorità, Mise non risponde, l’associazione  si attrezza per praticare le alternative possibili: il ricorso ai giudici di pace e il trasferimento delle controversie con le aziende, dalla mediazione negoziata alla mediazione professionale tramite gli organismi extragiudiziali riconosciuti dal Ministero della Giustizia.
Il tema della  sostenibilità della mediazione negoziata interpella direttamente le aziende che si richiamano alla cultura della responsabilità sociale di impresa, noi dobbiamo fare la nostra parte con la disponibilità a costruire con le aziende un rapporto di lealtà ma sono le aziende chiamate a recitare il ruolo di protagoniste dirette.

Milano 5 febbraio 2012
Pietro Praderi